Sabato 14 dicembre alle ore 16 torna Ochestra in Opera con il Concerto di Natale
Uno sguardo oltre il muro
Il concerto di Natale di Orchestra in Opera è un punto di arrivo di un percorso intrapreso da detenuti grazie alla nostra Associazione e alla passione di insegnanti del Conservatorio di Milano. Qualche parola della nostra volontaria Matilde Sansalone che, oltre a seguire il progetto, è anche avvocato penalista sul significato di questo evento.
La nostra Costituzione afferma che la pena attribuita a cittadino, ritenuto colpevole di un reato, deve essere orientata alla rieducazione, non deve essere “inflitta” con spirito di rivalsa o di vendetta. Il nostro è un sistema che utilizza lo strumento della detenzione, per proteggere i cittadini dagli elementi pericolosi, ma anche per permettere a chi ha commesso un delitto di intraprendere un percorso di presa di consapevolezza del male arrecato, che gli consenta di aprire degli spiragli nuovi sul mondo, che alimenti una rinata voglia di vivere senza commettere reati, che faccia innamorare della vita, attraverso la bellezza e renda chiaro quanto “convenga” vivere nella legalità.
Potremmo dire che è una sperimentazione mirata alla riabilitazione?
L’avvocato Matilde Sansalone, nostra volontaria che segue il progetto Orchestra in Opera
Aver permesso a dei detenuti di fare una cosa così difficile com’è il suonare insieme li ha messi in condizione di sperimentare la dimensione dell’ascolto reciproco, dell’ascolto da parte di terzi e di un pubblico. Per chi, nell’Associazione, si è impegnato a questo scopo ha significato contribuire a infondere la fiducia e il rispetto di sé stessi e nelle proprie capacità; fiducia nel fatto che ce la possano fare, che sono in grado di lavorare con gli altri in armonia, fiducia nel potere e dovere essere trattati come persone dotate di qualità, di un animo che si può esprimere davanti agli altri e per gli altri, attraverso concetti alti, importanti, attraverso l’arte.
L’Ensemble durante un concerto
Inoltre, dentro il carcere, in veste di musicisti, i detenuti sono e si sentono tutti uguali, raccontano di sentirsi musicisti, non criminali. Sperimentano un modo diverso di guardarsi tra di loro e da parte dei loro custodi. Credo si possa dire addirittura che l’iniziativa abbia smosso un diverso modo di rapportarsi di tutti, e fra tutti, all’interno delle mura del carcere.
Il rischio non è quello di fare un intervento “buonista” per alleviare le pene?
Per tutti i detenuti (e non solo), questa è stata un’esperienza di crescita finalizzata non a un risultato di compassione, un po’ “buonista” se vogliamo, ma di ritrovamento della propria dignità. Al loro ingresso in carcere, come si può immaginare, la maggior parte dei detenuti è lontana da ogni regola di legalità, non crede certo che questa possa dare dei vantaggi. Quando l’istituzione e la società civile, con persone che si prestano volontariamente, supportano il loro desiderio, in questo caso quello di suonare, si dimostra loro nel modo più efficace, con un esempio pratico (non solo di “belle parole”), che vivere nel rispetto delle regole offre moltissimo. Suonare, per i detenuti, è l’opportunità per esprimere se stessi, per avvicinarsi al “lavoro”, un modo per attingere alle proprie risorse, approfittando gratuitamente delle cose belle della vita. Che sono dentro di loro.
La musica favorisce il contatto con la parte più elevata di ogni essere umano, la parte più disinteressata, la parte più immateriale, che ha meno bisogno di prevaricare, che è meno legata all’utilitarismo e alla violenza. Tra chi condivide la musica, in questi contesti si crea una solidarietà e la complicità di chi condivide una passione. L’accordo che va al di là delle parole. Si crea un clima davvero toccante.
Matilde Sansalone con Margherita del Favero, Presidente della nostra Associazione, ad un concerto della stagione 2019 di ClassicAperta
Cosa può significare questa esperienza per il pubblico che verrà il 14 dicembre?
Per il pubblico, venire al concerto dovrebbe significare venire al carcere per “guardare” davvero. Per assistere e applaudire a una ritrovata dignità. Per chi si sente rappresentato in un’unica immagine, agganciato e sospeso alle azioni commesse, per citare Pirandello, è importante poter dimostrare che non per forza si dovrà recitare tutta la vita la stessa parte in commedia. Ci si può liberare, anche senza rendersene conto, dalla targhetta, dal timbro del criminale, attraverso l’arte. Ed è un’opportunità tanto per i detenuti e per chi si occupa di loro, che per la società “