Fa il giro del web la performance di Salvatore Castellano: dal canto popolare alla fuga barocca
Tre sassofoni per “Bella Ciao”
di Vic Moniaci
Sembra un film di Giuseppe Tornatore. Salvatore Castellano nasce in un paesino, meno di tremila anime, in provincia di Agrigento: Alessandria della Rocca. Famiglia borghese, ingegneri, geometri, ma il piccolo scopre presto la sua passione per la musica. La scopre seguendo la banda del paese, anzi inseguendola praticamente nelle sue esibizioni. Così il padre, quando Salvatore ha sei anni, gli regala un sassofono di plastica, poco più di un giocattolo, e lui se ne innamora. Il maestro della banda consiglia alla famiglia Castellano di fargli studiare musica e Salvatore, che oggi ha 24 anni, non si stacca più dal sassofono…
“Infatti, il Conservatorio a Palermo poi a Milano, il perfezionamento a Lione per due anni, l’Accademia di musica contemporanea a Basilea, la Musik-Akademie. Si tratta di un percorso impegnativo ma coerente. Non ho mai perso di vista i miei obiettivi, vivere di musica e comunicare col pubblico”
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Molti concerti sottolineati dal successo, fino all’uscita sul web di una singolare edizione della celeberrima “Bella Ciao”
“Si il 25 aprile, Volevo corrispondere ad un invito rivolto dall’Anpi al nostro mondo, per la massima diffusione del canto di libertà e così mi sono imbattuto nella composizione di Jean Emanuel Bach, forse uno pseudonimo. Ma molto centrato, dal momento che si trattava di una fuga a tre voci sul tema di “Bella Ciao”
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Così ha scritto le partiture per tre sassofoni e quindi l’esecuzione “tridimensionale”
“Sì ho scritto le parti per sassofono baritono, contralto e soprano. Non avevo base elettronica, ho fatto ricorso a un video multitraccia. Mi ha affascinato l’idea di strutturare il disegno musicale, ovvero l’arabesco della fuga, sull’impianto di una canzone popolare”
È la parabola degli estremi che si toccano…
“Nel contesto questa operazione aveva un suo significato. L’arte della fuga è la più “democratica” delle espressioni musicali: niente basso né canto, o accompagnamento, tutti gli strumenti hanno il medesimo spazio e dignità. Nel nostro caso non avevo molto tempo per provare, l’arrangiamento così è risultato a metà strada fra studio e jazz, nel senso della libera interpretazione”
Maestro, tutto questo avrà un seguito o resterà un gradevole esperimento “una tantum”?
“Considerati i tanti messaggi di plauso ricevuti, sto pensando di replicarlo, per altri progetti. La commistione fra musica colta e popolare è a sua volta un genere e, peraltro, “Bella Ciao”, è oramai un classico. Del resto parliamo di una sfida che voi dell’Associazione per MITO Onlus conoscete bene, e avete intrapreso da tempo. Io ho suonato per voi anche in un prato, in una bocciofila. Da musicista, la mia conclusione è che non dobbiamo mai trovarci troppo lontani dalla gente: in certi luoghi suonare “ex cathedra” sarebbe anacronistico”